Negli ultimi anni i social network si sono popolati di pagine di genitori che raccontano la propria vita con un figlio o una figlia autistici. In queste pagine i figli vengono esposti – e sovra-esposti – ripetutamente per mostrare al pubblico dei followers le difficoltà quotidiane, le gioie di un obiettivo raggiunto, la fatica affrontata per arrivare a quel risultato. A un primo sguardo sembrerebbe che queste pagine abbiano l’intento di diffondere una visione dell’autismo in un pubblico che non lo conosce e che potrebbe esserne spaventato, di portare nel discorso pubblico una narrazione capace di abbattere muri, di superare atteggiamenti discriminatori ed escludenti. In realtà, a una lettura analitica, la narrazione proposta spesso finisce per riprodurre il senso comune sull’autismo, condiviso con la disabilità in generale, che si polarizza in posizioni che sinteticamente possiamo ricondurre a una dimensione tragica e a una eroica. In ogni caso, la dinamica che sembra essere messa in atto – e del resto alcuni di questi genitori lo affermano esplicitamente – è quella di normalizzare l’autismo, proprio attraverso un uso sfrontato, senza consenso, dell’immagine dei propri figli, che non parlano mai in prima persona. La normalizzazione, così, rischia di produrre l’effetto contrario, e cioè porre in essere un mostro, riconsegnando la dote di specialità anziché indebolirla o neutralizzarla. Attraverso uno studio quali-quantitativo, l’articolo si sofferma su alcuni dei profili social di genitori con lo scopo di rintracciare queste dinamiche che eludono dalla responsabilità della condivisione e dell’ingiustizia discorsiva che viene sostenuta.
Il mostro tollerabile. La normalizzazione dell’autismo attraverso il racconto dei genitori sui social network
Alessandra Maria Straniero
Membro del Collaboration Group
;
2023-01-01
Abstract
Negli ultimi anni i social network si sono popolati di pagine di genitori che raccontano la propria vita con un figlio o una figlia autistici. In queste pagine i figli vengono esposti – e sovra-esposti – ripetutamente per mostrare al pubblico dei followers le difficoltà quotidiane, le gioie di un obiettivo raggiunto, la fatica affrontata per arrivare a quel risultato. A un primo sguardo sembrerebbe che queste pagine abbiano l’intento di diffondere una visione dell’autismo in un pubblico che non lo conosce e che potrebbe esserne spaventato, di portare nel discorso pubblico una narrazione capace di abbattere muri, di superare atteggiamenti discriminatori ed escludenti. In realtà, a una lettura analitica, la narrazione proposta spesso finisce per riprodurre il senso comune sull’autismo, condiviso con la disabilità in generale, che si polarizza in posizioni che sinteticamente possiamo ricondurre a una dimensione tragica e a una eroica. In ogni caso, la dinamica che sembra essere messa in atto – e del resto alcuni di questi genitori lo affermano esplicitamente – è quella di normalizzare l’autismo, proprio attraverso un uso sfrontato, senza consenso, dell’immagine dei propri figli, che non parlano mai in prima persona. La normalizzazione, così, rischia di produrre l’effetto contrario, e cioè porre in essere un mostro, riconsegnando la dote di specialità anziché indebolirla o neutralizzarla. Attraverso uno studio quali-quantitativo, l’articolo si sofferma su alcuni dei profili social di genitori con lo scopo di rintracciare queste dinamiche che eludono dalla responsabilità della condivisione e dell’ingiustizia discorsiva che viene sostenuta.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.